Pubblicato su politicadomani Num 86 - Dicembre 2008

Una storia a puntate
Napoli sotto... e sopra - Una città cresciuta all’in giù

Dal ‘500 alla speculazione edilizia degli anni ’90, passando attraverso la guerra: le cave di Napoli nascono come conseguenza di eventi idrogeografici e di decisioni politiche

di Ciro La Rosa

Terza puntata
Ricco di cave è il vallone della Sanità, scavato dai torrenti provenienti dalle colline sovrastanti che hanno formato nel tempo delle strette gole dette Canyon. Qui le cave furono utilizzate come catacombe: S. Gaudioso, le cave sottostanti l’Ospedale S. Gennaro, le zone dei Vergini, i Cristallini e le cave di S. Maria Antesaecula. Le alluvioni che hanno tormentato la zona inondando di fango e detriti fino agli anni ’50 del secolo scorso sono rimaste nella memoria collettiva con il nome di “lava dei Vergini”: le acque arrivavano a lambire via Foria e solo negli anni 50/60 furono imbrigliate nei condotti fognari realizzati con l’amministrazione Lauro.
Un altro quartiere di cave che forniva tufo di ottima qualità sono le “Fontanelle”. Esso è delimitato da alti contrafforti di tufo e dalle costruzioni popolari del quartiere Materdei, sorto negli anni ’20. La cava più grande fu utilizzata come ossario: vi si riposero i resti di coloro che erano deceduti durante le varie pandemie che colpirono la città dal 1600 al 1836 e le salme rinvenute in seguito allo “sventramento” e alle demolizioni di via Acton avvenute nel 1934. A fine ’800, davanti alla cava, venne costruita una chiesa, S. Maria Santissima del Carmine alle Fontanelle. L’ossario fu chiuso nel 1970 e riaperto poi al culto nel 1990. Il vallone è tutto pieno di caverne con aperture trapezoidali simili all’Antro della Sibilla; alcune sono crollate, altre sono scomparse oppure sono state inglobate nella costruzione della metropolitana. Durante i lavori di costruzione della tangenziale si incontrarono 50.000 metri cubi di gallerie settecentesche, con volte di 30 metri, che furono utilizzate durante la seconda guerra mondiale come depositi militari. Oggi parte di queste gallerie sono usate come depositi di automezzi o come officine.
Le grotte di Montesanto, le cave del Cavone di Piazza Dante (gola scavata dai torrenti provenienti dal Vomero vecchio); le affascinanti costruzioni di Castel S. Elmo e Castel dell’Ovo, le cui pareti sono la continuazione della roccia tufacea su cui poggiano; “La Pietra” a Bagnoli, i Cavoni, i formali, fontanelle naturali da cui sgorgava l’acqua della parte terminale degli acquedotti; i pertusi, i pertusilli, da cui affiorava l’acqua imbrigliata nel sottosuolo (tutti toponimi che riportano alle cave e al tufo) sono la memoria del nostro passato.
Nel ’500 i napoletani si spinsero in profondità nel sottosuolo dei centri urbani per cavare le pietre perché vigeva allora il divieto di costruire sia dentro la città che nei borghi esterni, un divieto sancito da  sette “prammatiche” vicereali (le prammatiche erano ordini reali e vicereali che regolavano molti aspetti della vita civile di Napoli). Ma gli spagnoli ignoravano che i Napoletani potevano sfruttare il sottosuolo urbano e con l’ausilio dei “pozzari” e dei “cavamonti” elevarono la città in senso verticale, fino ad altezze impossibili per altre pietre. La crescita dei palazzi, sia quelli modesti sia quelli nobiliari, avveniva verso il basso scavando in profondità oltre lo strato di terreno che ricopre il tufo e realizzando sotto di essi un vuoto pari alla mole dei palazzi stessi, che spesso poggiavano direttamente sul banco, diventato la volta di una enorme navata.
Esempio lampante sono i “Quartieri Spagnoli”.
(continua)

 

Homepage

 

   
Num 86 Dicembre 2008 | politicadomani.it